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sabato 26 maggio 2012

Narrazione e sviluppo del territorio

Cosa aiuta un territorio a fare buon uso delle risorse e dei beni disponibili? Questo volume, basato sulle ricerche ed esperienze sul campo degli autori, mostra come il racconto possa essere una pratica e uno strumento che facilita i processi di sviluppo — economico e di comunità — dei territori. L'assunto del libro è che i processi di sviluppo locale si costruiscono nei territori e con gli attori del territorio, stimolando in essi le capacità narrative, il confronto e la rielaborazione della propria esperienza. Dopo un'introduzione su come è possibile applicare l'approccio narrativo ai fenomeni economici e sociali del territorio, gli autori lasciano ampio spazio alla presentazione di progetti realizzati in varie parti d'Italia: Toscana, Umbria, Molise, Lazio, Sicilia. Un libro di grande interesse per gli operatori che cercano idee, esempi, strumenti per la progettazione partecipata, lo sviluppo locale, il marketing territoriale o l'animazione socioculturale, ma anche una fonte preziosa per gli insegnanti che programmano attività didattiche interdisciplinari o per gli appassionati di turismo culturale.

martedì 15 maggio 2012

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Per superare le dipendenze

– Agli amici drogati (quanti ne ho già persi, purtroppo! Con rimpianto, perché qualcuno era puro e profondo, e non è riuscito a sottostare alle ipocrisie cui la Vita, “questo gioco di fantasmi”, ci costringe quasi giornalmente…) non dirò di smettere, soluzione banale e assai poco realistica da seguire, ma almeno di fare il possibile per volgersi a pratiche magari un po’ meno gratificanti dal punto di vista strettamente fisiologico ma assai meno invasive e meno dannose. L’uso e anche l’abuso di cannabinoidi può in questo caso svolgere un ruolo di “prestatore di ultima istanza” consentendo almeno di sopravvivere col minor danno possibile. Non sto affermando che la cannabis non abbia controindicazioni o non presenti rischi anche rilevanti, ma stiamo realisticamente prendendo atto che in alcune situazioni essa costituisce il male minore. Ragione vieppiù vera se si fanno propri anche i consigli d’uso riportati sul sito www.medicalcannabis.it , che a scopo medico indica il modo di utilizzare la cannabis minimizzandone gli effetti negativi e massimizzandone l’efficacia assoluta (la cannabis infatti in alcune patologie può rivelarsi un farmaco assai utile e a volte addirittura insostituibile). Sia di stimolo agli interessati il fatto che, adottando i principi e la metodologie suggerite dagli esperti medici del sito, non solo si riducono drasticamente i danni ai polmoni, ma si permette anche un positivo sfruttamento, maggiorato di circa il 30% , dei principi attivi, con tutto ciò che ne consegue. L’unico pegno da pagare è l’adozione di una diversa metodologia di assunzione, con la rottura quindi di quel rituale che riconosciutamente gioca un ruolo tanto importante nel mantenimento delle dipendenze. Che quindi il volonteroso di turno, se ancora illuminato dal desiderio di riscatto e comunque attratto dalla possibilità di sfruttare appieno le doti dell’amato vegetale, possa qui cogliere l’occasione offerta dalla rottura di un consolidato rituale per poter godere di uno sprazzo di serena e libera riflessione… traendone la determinazione e la forza per poter forse cambiare in meglio anche le proprie abitudini (vedi Nota *3 al capitolo “Cancro e Fumo” di questo lavoro). (Non si tratta di utopia! Conosco il caso concreto di persone che sono riuscite a smettere di drogarsi in modo pesante aiutandosi anche con la cannabis – e dando ovviamente anche nuove motivazioni valide alla propria vita – riducendo in seguito le dosi in modo progressivo fino a raggiungere una situazione di equilibrio non troppo lontana dalla normalità. Il segreto del successo sta nella pratica dell’aurea “via di mezzo”, seguendo una Via difficile sì, ma possibile e percorribile, lasciando le insostenibili decisioni drastiche agli eroi che, come la Storia insegna, spesso soccombono sul campo di battaglia). Esistono situazioni però che sono purtroppo tanto avanzate e ormai tanto deteriorate da non lasciar spazio d’azione nemmeno alle migliori intenzioni ed alla più strenua forza di volontà: chi decide allora non è più il soggetto, ma sono la dipendenza e la droga stessa, che arrivano a governare la vita e i comportamenti in modo totale e dispotico. In questi casi è bene sapere che esiste comunque una via d’uscita: bastano 2 o al massimo 3 trattamenti, da effettuare sotto controllo medico, con una sostanza completamente naturale contenuta nella radice e nella corteccia di una pianta africana per liberarsi per sempre dalla dipendenza fisica e per compiere anche un enorme passo in avanti lungo il cammino dell’autoconsapevolezza, ponendo una base formidabile per la liberazione anche dalla dipendenza psicologica dalla droga. Tale sostanza è l’Ibogaina, principio attivo della Tabernanthe Iboga, pianta usata sin dai tempi più remoti dai Mitsogho, una tribù africana originaria di una regione che oggi appartiene al Gabon. Essi la somministrano agli adolescenti durante il rito iniziatico che apre le porte all’età adulta, permettendo di far loro vivere un’intensa esperienza interiore in grado di far cambiare in senso positivo il concetto di se stessi e della propria vita. L’Ibogaina è un alcaloide allucinogeno appartenente alla famiglia degli indoli, in grado di permettere alla psiche di mettersi in diretta comunicazione con l’Io Profondo. Diversamente da altre droghe che gratificano solamente i sensi del piacere, l’Ibogaina stimola ai massimi livelli la consapevolezza e la coscienza, permettendo una profonda auto-analisi ed il superamento dei propri blocchi emotivi. L’esperienza risulta talmente profonda e determinante che ben raramente i soggetti sentono il bisogno di rifarla una seconda volta nella vita (i tossicodipendenti invece, a causa della loro condizione, potrebbero aver bisogno di 2 o 3 applicazioni). Un importantissimo effetto “collaterale” dell’Ibogaina è che essa riequilibra anche il funzionamento di tutto il chimismo cerebrale, come in una sorta di gigantesco “reset” che permette di liberarsi in un sol colpo di tutte le dipendenze che avevano creato assuefazione. L’Ibogaina non crea dipendenza e in tutto il mondo non è considerata una sostanza illecita (tranne che in USA, Danimarca, Belgio e Svizzera), ma è posta in libera vendita come pianta medicinale usabile (a basso dosaggio) anche nei casi di astenia ed esaurimento nervoso. In Italia NON appare nell’elenco delle sostanze stupefacenti e psicotrope di cui al DPR n. 309/90 e Decreto 23/9/04 che ha disposto l’attuazione della Direttiva 2003/101/CE, risultando a tutti gli effetti (sicuramente nel 2004 e per quel che mi consta anche oggi) consentita ed in libera vendita in farmacia, dove però non è facile da trovare ad alti dosaggi (dato che le normative possono cambiare, invito gli interessati ad assumere informazioni in merito alla liceità dell’ibogaina prima di farne uso. Non si assumono responsabilità per usi impropri effettuati senza controllo medico). A chi fosse interessato consiglio di leggere l’eccezionale libro di Fiamma Ferraro “Attacco alla droga” – Blu International Studio Edizioni, dove vengono riportati gli indirizzi dei centri medici dove si praticano i trattamenti con l’Ibogaina (costo medio da 500 a 3.000 euro, secondo la durata, e soprattutto secondo la necessità o meno di una collaterale terapia di preparazione psicologica o psichiatrica) e gli indirizzi internet dove eventualmente acquistare direttamente il prodotto (vedi allegato riportato al termine di questa nota). Voglio precisare che in linea di principio è assolutamente sconsigliabile eseguire il trattamento senza l’assistenza di personale specializzato, che possa facilitare e guidare l’esperienza (anche i Mitsogho durante il rito iniziatico vengono assistiti dallo sciamano e dai propri genitori), massimizzando i risultati positivi e aiutando a superare i pochi ma potenzialmente fastidiosi effetti collaterali. D’altro canto, visto che in genere è necessario sottoporsi all’esperienza una sola volta nella vita, vale sicuramente la pena di investire tutto il denaro necessario per ottenere da essa il meglio, in piena sicurezza. Per i drogati disperati invece, ormai quasi giunti al capolinea e troppo scombinati ed indigenti per desiderare o anche solo potersi permettere un trattamento medico, vale senz’altro la pena di investire una parte del denaro riservata all’acquisto della droga per farsi mandare via internet un paio di dosi di Ibogaina, considerando il fatto che si tratta pur sempre di un allucinogeno e che può se non altro valer per loro la pena di provare l’emozione di una sostanza diversa. I rischi che correranno durante l’auto-somministrazione solitaria saranno in ogni caso inferiori a quelli che già corrono ogni volta che assumono una dose di droga, oltretutto impura e non titolata, acquistata illegalmente sul mercato clandestino, regalandosi in tal modo anche l’opportunità di potersi liberare dal peso di un vizio che ormai ha ben poco da poter offrire. L’Ibogaina a dosaggio opportunamente ridotto e assunta sotto controllo medico è in grado di liberare anche dalle più pesanti dipendenze da nicotina ed è quindi consigliabile anche a quei fumatori incalliti che “hanno provato di tutto” per smettere di fumare, senza riuscirci. Se avranno coraggio, questa volta veramente le sigarette diverranno per loro soltanto un lontano ricordo … Chi è interessato ad effettuare un trattamento con l’Ibogaina può trovare indirizzi e siti web
“È valutato intorno ai duecento milioni il numero di persone che, nel mondo, dipendono dalle droghe. Mancano cifre esatte sul numero di alcolizzati e di forti fumatori (nella sola Italia vi sono più o meno quattro milioni di forti bevitori, un milione e mezzo di alcolizzati e quindici milioni di fumatori, fortunatamente in calo). Se poi, a queste cifre enormi riguardanti i diretti interessati, si aggiungono i problemi che gravano sui familiari e quelli derivanti dalla criminalità, dall’aids e da altre malattie, collegati alla droga, si arriva alla conclusione che forse nessun comportamento umano (se non la guerra) provoca tanto dolore nel mondo e distrugge, fisicamente e spiritualmente, tante vite; oltre tutto vite di giovani, sui quali si fondano le speranze per il futuro del globo. Da ciò si deduce che uno degli obiettivi prioritari della ricerca scientifica dovrebbe essere quello di trovare un modo per mettere fine alle dipendenze. Se dalle esperienze di centinaia di persone negli ultimi decenni, da rapporti di medici, psicoterapeuti, gruppi di sostegno, sembra emergere l’esistenza di una pianta, a quanto pare meno tossica di un’aspirina, che mette fine ai dolori e problemi fisici delle crisi d’astinenza, rendendo così possibile, per chi lo desidera, sconfiggere la dipendenza senza la necessità di quegli sforzi eroici che spesso fanno desistere anche i meglio intenzionati, non credete che ci si dovrebbe precipitare a mettere in moto tutte le ricerche cliniche e gli approfondimenti scientifici ritenuti necessari? E, qualora gli approfondimenti ne dimostrassero l’efficacia e la sicurezza, non credete che questa pianta dovrebbe essere messa subito a disposizione per i trattamenti di disintossicazione? Domande retoriche, tanto appare ovvia la risposta affermativa da parte di chiunque. Purtroppo, invece, questo non è finora avvenuto; sono state effettuate solo alcune ricerche sporadiche, con modalità non ideali, ed un’altra sperimentazione è ora in corso. Non voglio speculare sui motivi di questo disinteresse per una sostanza che, in caso di esito positivo delle sperimentazioni, potrebbe arrecare all’umanità un beneficio inimmaginabile. Certamente, il fatto che si tratti di una sostanza naturale (una pianta), che cresce in paesi africani poveri, non brevettabile dalle industrie farmaceutiche, la cui somministrazione non richiede controlli medici prolungati, che non deve essere presa per lunghi periodi, ma solo una o al massimo due o tre volte, e che quindi sembra non consentire particolari guadagni a nessuno, non ha contribuito a sollevare e mantenere vivo l’interesse nei confronti di questa sostanza. Se a ciò si aggiunge la “cattiva fama” di questa pianta che, pur non essendo compresa, se non in pochi paesi (USA, Danimarca, Belgio, Svizzera) tra le sostanze allucinogene vietate, risente, per il fatto di essere stata usata (ad un dosaggio molto superiore) nei riti iniziatici dei Bwiti, dell’associazione mentale che viene effettuata con altre sostanze (ayahuasca ecc. ) utilizzate per questi scopi, si comprende la riluttanza ad impegnarsi in un approfondito lavoro di ricerca e sperimentazione, non solo da parte delle grandi aziende farmaceutiche, ma anche di istituzioni, scienziati e ricercatori preoccupati della loro reputazione e buon nome. È questo il motivo per il quale (oltre allo slancio vitale della giovane età e allo sguardo ancora fiducioso in un futuro migliore), quando sono venuta a conoscenza delle informazioni che espongo nel testo, non ho più avuto pace finché non ne ho portato a termine la scrittura. Non ho nulla da guadagnare dalla pubblicazione del libro: i diritti d’autore vanno in beneficenza, non coltivo né commercio la pianta in questione. La mia attività professionale ed i miei interessi medici-psicoterapeutici sono indirizzati prevalentemente verso altri settori (nel libro indico gli indirizzi delle istituzioni terapeutiche che offrono trattamenti con questa pianta) ed anche il mio prestigio medico-scientifico non può trarre alcuna utilità (semmai il contrario!) dalla pubblicazione di questo libro. Ho scritto quanto segue solo perché sono convinta, nella mia coscienza umana e professionale, che questa pianta possa arrecare un beneficio inestimabile. Chiudo con una speranza di rito: se anche una sola persona, dopo averlo letto, riuscirà a liberarsi dalla dipendenza, la mia fatica sarà più che ricompensata. Fiamma Ferraro P.S. Mentre questo libro sta andando in stampa vedo che, per fortuna, qualcosa sembra muoversi anche in Italia per sfruttare al meglio il potenziale di questa pianta. Leggo, infatti, sul sito www.piazzasalute.it che “Contro la dilagante piaga dell’alcolismo si sta provando di tutto, ora anche le erbe come la Pueraria lobata o l’Iboga, che sembrano dare ottimi risultati in fatto di dipendenza da alcol. Dal Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Cagliari, i ricercatori fanno sapere che lo scopo degli studi in atto è quello di individuare nuovi principi attivi, con azione disassuefacente, nei confronti delle sostanze di abuso, in primo luogo l’alcol; per farlo si stanno studiando a fondo gli effetti di erbe… l’africana Tabernanthe Iboga, i cui estratti hanno potere disuassuefacente, ma anche eccitante. Lo studio si propone di ricorrere ad elementi naturali onde evitare di utilizzare molecole sintetiche e, proprio per questo motivo, è prevista la massiccia collaborazione con rappresentanti del mondo scientifico africano perché in Africa esistono circa 3.000 specie di piante, tra terrestri e marine, i cui effetto sono ancora tutti da valutare”.