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sabato 29 ottobre 2011

La Scienza Erboristica e La Medicina popolare


 

La medicina popolare considera il corpo e la psiche ed il comportamento dell’individuo un insieme indivisibile; infatti la parola farmaco indicava un rimedio sia per il corpo sia per l’anima. I farmaci erano anche gli scongiuri, gli incantesimi e anche la musica e la poesia erano intesi come farmaci per l’anima. La malattia è vista come qualcosa di estraneo all’uomo quindi l’uomo non può controllarla ma soltanto eliminarla, ad esempio i batteri e i virus sono visti ora come causa della malattia, ma per la medicina popolare erano la malattia stessa. Tutte le teorie della pratica medica popolare sono basate sull’esperienza, i rimedi preparati con le piante medicinali sono conosciuti fin dalla Preistoria e generalmente era la donna ad occuparsi della loro preparazione.

Infatti mentre la donna si preoccupava del sostentamento della comunità attraverso la raccolta delle radici delle piante spontanee e dei frutti, l’uomo si dedicava alla caccia e alla pesca. In questo modo la donna acquisì un vasto patrimonio di conoscenze che si tramandarono di madre in figlia, e di questo ciò che ancora resta è custodito dalle singole comunità e confluisce anche nell’attuale pratica erboristica.
Nella cura delle malattie si interveniva prima con rimedi riconosciuti a livello familiare, quando questi risultavano inefficaci si ricorreva a figure “specializzate” cioè alle cosiddette streghe guaritrici, maghi e stregoni ovvero coloro che guarivano anche attraverso particolari rituali, incantesimi e preghiere. I veri guaritori avevano speciali caratteristiche, cioè erano nati settimini o madri di gemelli oppure provenienti da famiglie tradizionalmente legate alla magia e alla capacità di curare. La presenza di queste figure è riscontrabile ancora oggi in alcune comunità rurali. La medicina popolare sopravvive all’affermazione della medicina ufficiale avvenuta all’inizio del Duecento e l’uso delle erbe medicinali continua per molti secoli.

Dai resoconti dei processi per stregoneria del ‘500 si evidenzia, nell’attività delle cosiddette streghe, la pratica della magia e della medicina.
In molti casi, quindi, la strega è una guaritrice condannata semplicemente perché opera fuori e contro l’autorità laica e religiosa; infatti esse venivano condannate per eresia e non per accertata pericolosità delle loro ricette.
In quei tempi curare le malattie che la medicina ufficiale non riusciva a sanare significava entrare nel campo del sovrannaturale e quindi peccare di eresia.
In realtà il saper conoscere, trasformare ed impiegare le erbe medicinali conferiva alle streghe un potere che sia la Chiesa sia lo Stato intendevano contrastare.
Le streghe conoscevano bene l’impiego terapeutico delle piante medicinali, infatti illustri botanici come il Mattioli e il Durante confermano le proprietà di determinate piante usate nelle loro preparazioni.

Spesso all’uso delle piante si accompagnava anche quello degli animali o di parti di essi. Le streghe guaritrici associavano sempre alla somministazione dei loro preparati a base di erbe la formulazione di riti magici mirati a scacciare il male insediatosi nella persona.
Oltre ad usare erbe tutt’ora utilizzate, ne adoperavano altre che, somministrate in dosi massicce, risultavano tossiche o allucinogene, cioè capaci di alterare la coscienza come l’Aconito, altamente tossico e capace di paralizzare le terminazioni nervose, la Belladonna o lo Stramonio riconosciuti come potenti allucinogeni.
 
Nel Medioevo le piante coltivate erano usate per la composizione di medicamenti semplici, cioè realizzati con una sola pianta o composti, prodotti da piante diverse combinate tra loro.
La tradizione continuò e venne incrementata nel Medioevo con l’istituzione dell’Hortus simplicium o Hortus medicus (detto anche viridarium nell’Alto Medioevo). L’hortus simplicium (sottinteso medicamentorum), il giardino dei medicamenti semplici, sorse presso i monasteri ed i conventi. Uno dei primi viridari fu fondato da Cassiodoro, già consigliere dell’imperatore Teodorico, che con la caduta dell’Impero Romano si ritirò dalla vita politica. Appassionato di medicina, scrisse le “Istitutiones divinarum et humanorum”, in cui raccomandava ai monaci di coltivare le piante medicinali e di studiare, trascrivendo e miniando, le fonti del passato, come Ippocrate, Dioscoride e Galeno.
Resta fondamentale il ruolo culturale e sanitario svolto dagli ordini monastici, che si occuparono dell’assistenza agli infermi per assolvere la missione caritatevole cui erano chiamati. Svolsero anche, avvalendosi delle fonti classiche, un’intensa attività di ricerca in campo farmaceutico, realizzando medicamenti di grande efficacia. I monaci produssero dei cataloghi ragionati di tutte le erbe coltivate ed utilizzate, chiamati Hortuli.

Gli hortuli erano raccolte di piante figurate in cui si descrivevano le caratteristiche e le virtù delle singole piante. In questo modo la conoscenza della medicina e dell’impiego delle piante officinali si diffuse rapidamente tra gli stessi ordini monastici. Accanto alle abbazie sorsero i primi ospizi ed ospedali per accogliere i pellegrini infermi fin quando nel 1200 il Papa Onorio III non proibì l’esercizio della medicina ai chierici secolari e nel 1231 Federico II di Svevia vietò ogni rapporto tra la professione dello speziale e quella del medico impedendo l’esercizio della professione medica senza autorizzazione.
L’unico centro culturale pubblico, abilitato a rilasciare il titolo di dottore fu la Scuola di Salerno. Nella scuola salernitana, la cui origine probabilmente si collega ad un centro monastico, confluirono gli elementi della tradizione classica influenzati dalla cultura araba.
 
 

La medicina tradizionale: le fonti

L’erbario è una raccolta di piante, che possono essere raffigurate (hortus pictus), secche (hortus siccus) oppure vive (hortus vivus), a scopo didattico e scientifico. Dall’antichità classica all’età premoderna gli erbari furono la migliore fonte di indicazioni e di conoscenze, riguardanti la botanica-medica, a disposizione degli erboristi e degli speziali. Si trattava di testi in cui alla descrizione della specie vegetale e delle sue proprietà faceva riscontro l’immagine della stessa.

L’erbario figurato più importante dell’antichità sembra essere quello della principessa Anicia, risalente al VI secolo d. C., seguito dal cosiddetto Pseudo-Apuleio. Nel corso del Medioevo essi furono molto rimaneggiati e contaminati da interventi successivi degli amanuensi. Restano, tuttavia, documenti di fondamentale importanza per la storia della medicina.

Esistono due famiglie di erbari: una di tipo realistico, dove la pianta è descritta come è nella realtà, una di tipo schematico in cui l’immagine si arricchisce di simboli utili per comprendere l’impiego.

Negli erbari del primo tipo le piante sono descritte nei particolari, con grande attenzione all’immagine (in bianco e nero o a colori) e alle virtù curative. E’ significativo, ad esempio, che accanto all’indice delle piante venisse aggiunto un indice delle varie infermità. I più importanti erbari figurati a stampa del Rinascimento furono quelli di Fuchs (1542) e di Mattioli (1565).
Il secondo tipo di erbario era destinato maggiormente ad un uso pratico personale, quindi più vicino alla tradizione popolare: la rappresentazione delle piante appare fantasiosa per l’associazione di simboli e rituali. Ne è un classico esempio la mandragora, rappresentata sempre legata ad un cane e con il raccoglitore che si tappa le orecchie per non sentire l’urlo della poveretta al momento dello strappo.
L’erbario secco è una raccolta di piante essiccate, stese ed attaccate su fogli di carta. La funzione è, da una parte quella di documentare la presenza delle specie in un dato territorio e, dall’altra, strumentale, in quanto permette uno studio comparato con altri campioni di altre aree.

L’erbario vivo invece si identifica con l’orto botanico o con raccolte di esemplari in esso contenute. I primi orti botanici, gestiti prima in ambiti religiosi e poi anche laici, furono destinati alla raccolta delle piante medicinali, dette medicamenti semplici (donde la denominazione di Giardini dei Semplici, sottinteso medicamenti). In seguito in questi orti vennero coltivate anche piante non medicinali a scopo sia didattico che scientifico. soprattutto quando la botanica diventò una scienza autonoma separata dalla medicina. Da quel momento gli orti botanici funsero anche da centri di sperimentazione e di acclimatazione di nuove specie esotiche provenienti dal Nuovo Mondo, come la patata ed il peperoncino.

Dalla medicina popolare alla medicina accademica:le fonti Il Tacuinum sanitatis è un’altra fonte medievale manoscritta, riguardante l’impiego delle piante officinali.
Il termine tacuinum deriva dalla parola araba taqwim che significa indicazione, tabella. Questo tipo di testo è frutto della traduzione latina di un’opera araba, espressa in forma sintetica (donde il valore di tabella). Vi sono raccolti concetti di medicina tradizionale rivisitati attraverso le pratiche comportamentali e i ritmi naturali, non disgiunti, talora, dallo studio delle influenze astrali. La pianta è raffigurata quasi sempre per intero nel suo habitat naturale e viene indicata sia la stagione migliore per la raccolta sia le differenti proprietà della pianta in base ai ritmi stagionali.
Il Tacuinum, oltre che indicare rimedi, suggerisce norme per mantenere la buona salute, curando in particolar modo l’alimentazione, l’igiene ed il comportamento, ovvero il giusto equilibrio tra sonno e veglia, tra moto e quiete, tra gioia ed ira.
Questi manoscritti indicano come ricavare benefici dalle piante e come evitare i danni che esse possono provocare. In sintesi si possono definire come manuali pratici, alla portata di tutti, soprattutto di coloro che sono interessati alle conclusioni della scienza e non alle prove, impreziositi spesso da colorite e vivaci figure di piante.

I ricettari contengono più o meno le stesse notizie inserite negli erbari, ma organizzate in modo diverso. Infatti mirano a mettere in risalto lo scopo per il quale si utilizza una pianta o, meglio ancora, una preparazione erboristica composta. Di ogni ricetta vengono enumerati gli ingredienti, i metodi di preparazione, le modalità di somministrazione e le quantità.
Diverso dagli erbari, dai taccuini e dai ricettari, un ulteriore strumento-documento stampato, diffuso fino al XIX secolo è il cosiddetto prontuario medico.
Esso differisce dai precedenti poiché affronta al suo interno discussioni di carattere filosofico sul perché e sul modo di adoperare determinate piante ed enumera una serie di casi trattati con le relative erbe. La diversa struttura è dovuta al fatto che il prontuario era destinato ai medici, mentre gli altri tipi di testi erano rivolti anche allo speziale-farmacista e all’erborista.
 
 

Dall'antica farmacopea all'industria farmaceutica

L’uomo, dal momento in cui comprese l’utilità delle piante per la cura della salute, cominciò a raccoglierle e ad usarle. Quando ancora viveva in simbiosi con la natura, custodiva personalmente il patrimonio di conoscenze sulle erbe medicinali.
Con l’organizzarsi delle comunità tribali, nacquero i raccoglitori di piante che, essendo diventati buoni conoscitori del settore, erano in grado di stabilire il momento giusto per la raccolta e le regole riguardo l’impiego. Cambiando le condizioni di vita, le antiche conoscenze vennero integrate da nuovi precetti che migliorarono i metodi di preparazione dei rimedi naturali.

Presso ogni popolo, poi, tali conoscenze andarono a costituire il fondamento della medicina tradizionale e, nelle civiltà più evolute, furono codificate in testi scritti chiamati erbari.
Gli erbari, quindi, sono testi che raccolgono tutte le notizie sulle erbe medicinali dal punto di vista botanico e terapeutico. Tra i più autorevoli possiamo ricordare quello enciclopedico di Dioscoride (I secolo d.C.), che sintetizza un po’ tutte le pratiche fitoterapiche dei Romani, dei Greci, degli Africani, degli Egizi e di altri popoli.
Ma già a due secoli prima, nel mondo occidentale, risale lo studio delle piante, mirato alla creazione di una vera e propria scienza medica, attraverso la comprensione del meccanismo di immunità ai veleni. La loro diffusione e il loro uso criminale era tale che Mitridate, re del Ponto, volle necessariamente trovare un antidoto efficace.

Ne incaricò il suo medico Crateva, che da un lato approfondì la conoscenza della tossicità delle sostanze e dall’altro sperimentò l’efficacia degli antidoti, servendosi degli schiavi.
Era il primo passo, di fatto, verso la preparazione di prodotti medicinali in funzione di antidoti. Il primo fu proprio il Mitridato, così chiamato in onore di Mitridate. Il più famoso, però, è la Theriaca, un composto messo a punto più tardi da Andromaco, medico di Nerone, e formato da decine di sostanze, prevalentemente d’origine vegetale, ma anche animale. Infatti, conteneva anche carne di vipera, il che spiega il suo utilizzo come antidoto contro il morso di serpenti. Per molti secoli, poi, venne adoperato anche come farmaco per la cura di moltissime malattie come la peste, il mal di testa cronico ed il mal di fegato.

La tecnica farmaceutica estrattiva

Agli inizi dell ‘800 l’uomo riuscì a individuare e poi isolare i principi attivi responsabili dell’azione terapeutica svolta dalle piante medicinali.
La prima sostanza naturale isolata allo stato puro fu la morfina, nel 1805. Si realizzava, così, il sogno degli antichi alchimisti, protesi a cercare il quid, cioè l’ignota sostanza che valorizzava le piante sul piano farmacologico.

Il passaggio ad una vera e propria industria chimica farmaceutica estrattiva fu breve e altre sostanze, citiamo per esempio la caffeina e la salicina, alla base della notissima aspirina, andarono ad arricchire la lista delle sostanze naturali vegetali oggi conosciute.
Nel 1853, inoltre, si scoprì la somministrazione dei farmaci per via intramuscolare e questa pratica aprì la strada all’utilizzo di una preparazione solubile concepita in modo molto diverso dalla classica tisana di erbe.

Tuttavia le piante medicinali continuarono ad essere usate, sulla scorta dei precetti derivanti da quel grande contenitore culturale che è l’esperienza popolare.
Il preparato medicinale di origine vegetale arreca all’organismo un complesso di sostanze chiamato fitocomplesso: alcune sono le vere responsabili dell’azione farmacologica, altre sono sinergiche in quanto potenziano l’assorbimento e l’attività delle prime, altre ancora evitano l’insorgenza di effetti collaterali. Infatti un farmaco quando viene somministrato produce due effetti uno benefico l’altro nocivo; l’effetto benefico deve superare quello nocivo ma questo non sempre avviene poiché l’effetto del farmaco dipende dal singolo individuo.



Le erbe medicinali e la tradizione popolare


Una antica leggenda narra che Esculapio, mitologico dio della medicina, avesse imparato l’arte del curare dopo aver visto che una pecora, ormai ridotta in fin di vita, si sforzò di mangiare un' erba selvatica, e dopo averlo fatto riprese forza e vigore.

L’uomo ha iniziato a curare i propri malanni servendosi delle erbe spontanee probabilmente osservando gli animali che lo facevano istintivamente proprio come la pecora di Esculapio.
L’uso dei rimedi naturali vegetali è poi proseguito per millenni fino a trasformarsi in scienza delle erbe medicinali o fitoterapia.
Attualmente l’uomo ricorre ancora alle erbe nonostante lo sviluppo della chimica e della scienza farmaceutica sembrano aver soppiantato questa antica arte.

Il ricorso a farmaci di facile assunzione e rapida efficacia ha solo apparentemente fatto cadere in disuso i cosidetti “rimedi della nonna” lenti ma efficaci, il patrimonio di conoscenze in materia di piante medicinali è rimasto sempre vivo nella tradizione popolare, tramandato oralmente di generazione in generazione.Le erbe medicinali coltivate nel Medioevo, ad esempio la salvia, il rosmarino, la cicoria, la malva etc…, malgrado tutti i mutamenti storici e tecnologici, vengono utilizzate ancora oggi.

Attualmente l’uso tradizionale delle erbe è relegato alla memoria dei più vecchi, depositari di un antica sapienza che va pian piano estinguendosi. Tuttavia è pur vero che la maggior parte delle loro conoscenze sono state trascritte e codificate.
D’altronde ogni singolo territorio detiene uno specifico patrimonio di conoscenze relativo alle piante reperibili nella propria zona, sul loro impiego e sulle modalità di raccolta.
I procedimenti secondo i quali le piante venivano trasformate per poi essere utilizzate nella preparazione dei rimedi medicinali erano e restano fondamentali per l’efficacia degli stessi.
Le stesse tecniche di preparazione e di applicazione delle tisane, dei decotti e delle pomate, erano molto semplici ma efficaci e sono in sostanza le stesse che si utilizzano ancora oggi.

La medicina popolare sopravvive all’avvento della medicina ufficiale affermatasi a partire dall’inizio del 1200 (quando nacquero le prime Università), infatti i ceti più bassi, legati all’economia agricola continuarono a praticare l’autoterapia attraverso l’uso delle erbe officinali o grazie all’intermediazione di guaritori.

Nella medicina popolare la componente magica operava l’allontanamento delle forze maligne, considerate come le cause della malattie, mentre alle proprietà delle piante era affidato il compito di curare i sintomi. In certi casi anche la medicina ufficiale ricorreva ai rimedi erboristici popolari prima e dopo l’avvento della chimica.
 

giovedì 20 ottobre 2011

Gli INDIGNATOS spiegati in 10 Libri

Black bloc e indignados, anarcoinsurrezionalisti e anarchici, protesta e rivolta: sono parole frequenti in questi giorni, sui giornali come nelle conversazioni per strada: spesso usate modo confuso. Siamo andati in magazzino a cercare libri capaci di spiegare meglio i significati di questi termini e in generale quello che sta accadendo.  Iniziamo dalla parola indignati:
1. Stéphane Hessel, Indignatevi!
L’ultranovantenne Hessel spiega ai più giovani di lui perché nel 2011 è venuto il momento di indignarsi. Caso letterario in Francia, divenuto uno dei libri più venduti d’Europa.
2. Emiliano Bazzanella, IndignateviIl titolo è pressoché identico a quello del libro di Hessel, manca solo il punto esclamativo, ma stavolta l’invito all’indignazione arriva dal filosofo Bazzanella, da sempre attento ai problemi sociologici figli della globalizzazione.
3. Massimo Ottolenghi, Ribellarsi è giusto
Ottolenghi (nato nel 1915) è un po’ lo Stéphane Hessel italiano. La sua è allo stesso tempo un’ammissione di colpa da parte della generazione cui appartiene ma anche un accorato appello ai giovani.
4. Donatella Bersani, Indignate
Qui l’indignazione è femminile: la necessità di una mobilitazione per diritti della donna spiegata da una donna a tutte le altre donne indignate come lei: “è arrivato il momento di dire basta”.
5. Loretta Napoleoni, Il contagio – Perché la crisi economica rivoluzionerà le nostre democrazie
L’indignazione spiegata da un’economista. Le rivoluzioni del Nordafrica possono contagiare anche l’Europa? Secondo Loretta Napoleoni è praticamente inevitabile. In questo libro ci spiega perchè.
6. Dimitri Deliolanes, Come la GreciaOvvero: “quando la crisi di una nazione diventa la crisi di un intero sistema”. La Grecia, colpita da una catastrofe finanziaria forse irreversibile, da oramai due anni assiste agli scontri in piazza fra manifestanti furiosi con i politici e forze dell’ordine: l’Italia rischia lo stesso destino?
7. Zygmunt Bauman, Capitalismo parassitario
La crisi economica ma anche culturale del capitalismo spiegata da uno dei più grandi sociologici viventi.
8. Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, Licenziare i padreterni
Dopo La Casta, continua il viaggio dei due giornalisti Stella e Rizzo alla scoperta di motivi di indignazione nei confronti dei politicanti e della classe dirigente italiana.
9. Alessandro Robecchi, Piovono pietre. Cronache marziane da un paese assurdo.
La spietata indignazione di Alessandro Robecchi qui è rivolta verso l’intera Italia, popolazione compresa. Ma Robecchi ha il dono prezioso dell’ironia, e il libro riesce anche a stappare amari sorrisi.
10. Jacques Attali, Come finirà?Bella domanda. Questo libro rappresenta la previsione di uno dei più eminenti saggisti in materia su cosa accadrà alla società occidentale travolta dalla crisi economica. L’edizione italiana include anche un capitolo speciale, dedicato alla situazione nel nostro paese.
Conosci altri libri adatti ad integrare queste letture? Puoi scriverci usando i commenti.

Rabbia - che cos'è la rabbia

Rabbia - che cos'è la rabbia

mercoledì 19 ottobre 2011

ROMA 15 10 2011





La parola "rabbia" deriva dal sanscrito "rabbahs", che significa "fare violenza".



Come coltivare reazioni emotive intelligenti

Daniel Chabot

Ediz. Punto d' incontro
Prezzo  12,90 €

ISBN: 8880933566
Pagine: 160 pp. - 17 x 22 illustrato
Contenuti del libro:

Come coltivare reazioni emotive intelligenti


Le emozioni ci accompagnano in ogni minuto della nostra vita. Esse giocano un ruolo fondamentale nell'equilibrio e nella salute delle persone. Illuminano l'esistenza, portandoci al settimo cielo, ma possono anche renderla oscura e insopportabile, arrivando al punto di condizionarla pesantemente. È dunque paradossale che, considerato il forte legame che ci unisce alle nostre emozioni, esistano così poche possibilità di imparare a conoscerne la natura, a sapere come funzionano, come ci influenzano, come interferiscono nei rapporti con gli altri. Non esistono materie scolastiche che ci insegnino a prendere consapevolezza del nostro piano emotivo. E allora, come fare per coltivare reazioni emotive intelligenti?
In questo piacevole e utilissimo manuale, impariamo in modo chiaro e conciso a riconoscere e a sviluppare la nostra intelligenza emotiva e quindi a usare in modo consapevole e vantaggioso le emozioni, ovvero quella parte profonda di noi stessi che di solito trascuriamo per sviluppare quasi esclusivamente la razionalità. Dato che le emozioni sono parte integrante del nostro essere, è assai importante e vantaggioso imparare a gestirle in maniera proficua, senza reprimerle o permettere che prendano il sopravvento.
Come coltivare reazioni emotive intelligenti offre un'efficace percorso pratico in cinque tappe, per mettere a frutto l'intelligenza emotiva nella vita di tutti i giorni, consentendoci di affrontare situazioni prima considerate incontrollabili o imprevedibili e di mantenere una sana e costante "igiene emotiva". Impareremo a identificare gli stimoli condizionati e a disinnescarli, a individuare i pensieri irrazionali in modo da modificarli e a predisporci verso ciò che non possiamo controllare o prevedere, così da non lasciarci sopraffare dalle emozioni che ne possono nascere.

lunedì 10 ottobre 2011


Se vi piace toccare i libri, e lo state facendo anche ora, sapete di cosa parliamo. Libri. Da leggere, da sfogliare, da desiderare e da possedere, da perdere, prestare e regalare. Libri da contare, da sistemare, da classificare. Amici per una vita o incontri di un solo giorno, ricordati per sempre o subito dimenticati; libri illeggibili, letti e riletti...
Nella passeggiata lungo queste pagine incontriamo tanti lettori illustri, curiosiamo nelle loro biblioteche e veniamo a sapere delle loro buone e cattive abitudini di lettura, talvolta così simili alle nostre. Quanti libri è possibile leggere in una vita? In che modo disporli? Come fare quando sono troppi? Ci piacciono di più tenuti come nuovi o un po’ maltrattati? Bisogna davvero leggerli tutti, o certi sono fatti apposta per non esserlo? Jesús Marchamalo racconta gli intrecci e i personaggi della grande storia d’amore fra libri e lettori con la divertita partecipazione di un innamorato che la sa lunga, e argutamente ci ricorda che come tutte le passioni, anche questa dev’essere assaporata con un po’ di sana ironia.





Gary Snyder
La Pratica del Selvatico
buono selvatico sacro
FioriGialli edizioni
Pag. 240
Formato: 14,5 x 21 cm.
Anno: 2011
ISBN: 978-88-6118-010-9


€. 16.00

 

Novità



“Le nostre capacità, le nostre opere, sono solo minuscoli riflessi del mondo selvatico, il cui ordine è innato e libero. Nessuna esperienza è paragonabile a quella di abbandonare il sentiero e dirigersi verso una parte nuova del territorio. Non per la novità in sé, ma per provare la sensazione del ritorno a casa, alla totalità del nostro ambiente. “Fuori dal sentiero” è un altro nome della Via, e nel vagabondare fuori dal sentiero sta la pratica del selvatico. Laddove - paradossalmente - svolgiamo il nostro lavoro migliore. Ma i sentieri e le vie sono necessari e li manterremo sempre. Bisogna prima camminare sul sentiero, per poi svoltare e inoltrarsi nel selvatico”.

“… si tratta di capire la differenza di significato, sottile ma cruciale, fra natura e selvatico. La natura, si dice, è oggetto della scienza: può essere studiata in profondità, per esempio dalla microbiologia. Il selvatico invece non è trasformabile in oggetto o in soggetto: per avvicinarsi a esso dobbiamo accettarlo internamente, come qualità intrinseca di ciò che siamo. La natura, in definitiva, non è affatto minacciata; la wilderness sì. Il selvatico è indistruttibile, ma possiamo non essere più in grado di vederlo”.

“Vivere in una cultura della wilderness è sempre stato un aspetto fondamentale dell’esperienza umana. Per centinaia di migliaia di anni non c’è stata wilderness senza qualche forma di presenza umana. La natura non è un posto da visitare, è casa nostra”.

“I nostri corpi sono selvatici. Il gesto involontario e veloce di girare la testa se sentiamo un grido, la vertigine se guardiamo in un precipizio, il cuore-in-gola nei momenti di pericolo, il riprendere fiato, i momenti tranquilli di quiete, quando ci rilassiamo e riflettiamo - sono tutte risposte universali di questo corpo mammifero. Si osservano in tutti i mammiferi. Il corpo non ha bisogno dell'intercessione di un intelletto conscio per respirare, per far battere il cuore. Per moltissime cose si regola da solo, ha una sua vita. Sensazione e percezione non vengono esattamente da fuori, e il continuo flusso di pensiero e immagini non è esattamente esterno. Il mondo è la nostra consapevolezza, e ci circonda. Ci sono più cose nella mente, nell'immaginazione, di quante “tu” ne possa controllare - pensieri, ricordi, immagini, rabbia, delizie, sorgono non chiamati. Le profondità della mente, l'inconscio, sono le nostre aree di wilderness interna, e questo è il posto dove la lince si trova in questo preciso momento. Non intendo linci personali all'interno di psiche personali, ma la lince che si muove di sogno in sogno. L'agenda pianificata dell'io conscio occupa un territorio molto esiguo, una celletta accanto al cancello interno della mente, e conserva qualche traccia di ciò che entra ed esce (e a volte fa progetti espansionistici) e il resto si arrangia da solo. Il corpo sta, per così dire, dentro la mente. Entrambi sono selvatici”.

“Le lezioni che impariamo dal mondo selvatico diventano il galateo della libertà. Possiamo godere della nostra umanità, del suo cervello favoloso e della sua sessualità vibrante, le sue ambizioni sociali e i suoi malumori ostinati, e considerarci né più né meno come gli altri esseri nel Grande Spartiacque. Possiamo accettare gli altri come esseri uguali a noi, che dormono a piedi nudi sulla stessa terra. Possiamo rinunciare alla speranza di diventare eterni e smettere di combattere la sporcizia. Possiamo tenere alla larga le zanzare e i parassiti senza odiarli. Senza aspettative, attenti e sufficienti, riconoscenti e premurosi, generosi e diretti. Calma e chiarezza ci appartengono nel momento in cui, tra un lavoro e l'altro, ci puliamo le mani dal grasso e guardiamo in alto le nuvole che passano. Un'altra gioia è prendere finalmente una tazza di caffè con un amico. Il mondo selvatico ci chiede di conoscere il terreno, di fare un cenno di saluto a tutti gli animali, a piante e uccelli, di attraversare i torrenti e salire sui crinali e di raccontare una bella storia quando ritorniamo a casa”.





UN AUDIOLIBRO PER RIEMPIRE DI LUCE UNO DEI TESTI PIÙ SAGGI MAI SCRITTI
GRAZIE ALLA  VOCE INTENSA ED EVOCATIVA DI ENZO DECARO E ALLA TRADUZIONE DI PAOLA GIOVETTI. MUSICHE ORIGINALI DI RICCARDO CIMINO.


 
Uno dei testi più saggi mai scritti e uno dei più grandi doni mai fatti all’umanità riproposto al pubblico italiano grazie alla preziosa traduzione di Paola Giovetti nell’interpretazione di Enzo Decaro con le Ambientazioni Sonore di Riccardo Cimino.
In poche e illuminanti massime, utilizzando la forza del paradosso, Lao Tse, in quest’opera tanto semplice quanto profonda, illustra la sequenza con cui da un Tao misterioso e indefinibile hanno avuto origine tutte le cose del mondo e, fra queste, l’uomo.
Offre una risposta a ogni problema della vita, una soluzione a ogni situazione. Un cd da ascoltare e un libretto da portare ovunque, come balsamo per le ferite che ci colgono impreparati, come lucciole da seguire per orientarci nel buio.
Il Tao che può essere seguito non è l’eterno Tao. Il nome che può essere nominato non è l’eterno nome. Senza nome è l’origine del Cielo e della Terra, quando ha nome, è padre e madre di miriadi di esseri e cose. Così, costantemente senza desideri, puoi vedere il mistero, costantemente desiderando, vedi le manifestazioni. Sono la stessa cosa, ma quando si manifestano portano nomi diversi. L’unità è il mistero, mistero nel mistero.

sabato 8 ottobre 2011

VENDERE L' ANIMA il mestiere del libraio

Descrizione del libro

"Questo è un libro importante, in cui Romano Montroni, che per quarant'anni ha cresciuto con intelligenza e passione i librai delle Librerie Feltrinelli, mostra come si organizza il lavoro in libreria, come si serve il cliente, quali sono le tecniche di gestione e soprattutto cosa si veicola con il libro, questo oggetto che molti danno in via di estinzione per il prevalere e il dominare, oggi, del mondo delle immagini sul mondo della scrittura e della lettura."
(Umberto Galimberti )
"Leggere Romano Montroni che parla del mestiere del libraio è un po' come leggere Dante che spiega come scrivere un poema in tre cantiche , Cellini che parla del mestiere dell'orafo, o -per essere modesti- Landru che racconta come si uccide una moglie."
(Umberto Eco)

"Ogni libraio, anche il meno colto, e perfino l'eventuale libraio non lettore, è comunque un intellettuale (partente stretto del bravo bibliotecario), perché possiede un criterio, stabilisce nessi e parentele tra i libri, simpatizza e antipatizza per titoli dei quali sa oppure intuisce il valore e la funzione, suggerisce generi, instrada il lettore verso la pagina."
(Michele Serra)

"Lo scrittore è l'arco, il libro la freccia, il cliente è la mela, il libraio e quello che tiene in testa la mela"
(Stefano Benni)

...Qualche commento

Un manuale tecnico per insegnare (o, quantomeno, illustrare) un mestiere romantico.
il libro, dal titolo affascinante e appassionato, si snoda (con molte, troppe ripetizioni) nella contrapposizione tra nozioni professionali e concetti economici da un lato e scelte culturali e comportamenti passionali dall'altro.
peccato l'esperienza dell'autore lo porti a soffermarsi maggiormente sulla vita della grande libreria a discapito della realtà di quella indipendente, di cui si trova maggior traccia negli interventi in appendice di altri librai, editori e scrittori. così, a salvaguardare il fascino del libraio sono proprio costoro, mentre l'autore, fornendo un mare di consigli pratici (indubbiamente utilissimi per chi volesse intraprendere tale carriera), finisce per smitizzare quest'arte riducendone l'attrattività.
d'altro canto, una libreria è un'impresa, i cui conti economici occupano la medesima importanza della bellezza di scegliere l'assortimento e la sua composizione a scaffale, e, d'altro canto, questo non è un romanzo con protagonista un vecchio libraio, ma un manuale per futuri librai.
visto solo sotto questa luce, privandolo di quel titolo appassionato e dell'immagine sentimentale che i cultori di libri e librerie hanno dei librai, è un manuale completo, dettagliato, chiaro e, naturalmente, a tratti noioso.
(Marco)

  • ISBN-13: 9788842079842

  • Editore: Laterza

  • Prezzo: € 15.00