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sabato 29 ottobre 2011

La Scienza Erboristica e La Medicina popolare


 

La medicina popolare considera il corpo e la psiche ed il comportamento dell’individuo un insieme indivisibile; infatti la parola farmaco indicava un rimedio sia per il corpo sia per l’anima. I farmaci erano anche gli scongiuri, gli incantesimi e anche la musica e la poesia erano intesi come farmaci per l’anima. La malattia è vista come qualcosa di estraneo all’uomo quindi l’uomo non può controllarla ma soltanto eliminarla, ad esempio i batteri e i virus sono visti ora come causa della malattia, ma per la medicina popolare erano la malattia stessa. Tutte le teorie della pratica medica popolare sono basate sull’esperienza, i rimedi preparati con le piante medicinali sono conosciuti fin dalla Preistoria e generalmente era la donna ad occuparsi della loro preparazione.

Infatti mentre la donna si preoccupava del sostentamento della comunità attraverso la raccolta delle radici delle piante spontanee e dei frutti, l’uomo si dedicava alla caccia e alla pesca. In questo modo la donna acquisì un vasto patrimonio di conoscenze che si tramandarono di madre in figlia, e di questo ciò che ancora resta è custodito dalle singole comunità e confluisce anche nell’attuale pratica erboristica.
Nella cura delle malattie si interveniva prima con rimedi riconosciuti a livello familiare, quando questi risultavano inefficaci si ricorreva a figure “specializzate” cioè alle cosiddette streghe guaritrici, maghi e stregoni ovvero coloro che guarivano anche attraverso particolari rituali, incantesimi e preghiere. I veri guaritori avevano speciali caratteristiche, cioè erano nati settimini o madri di gemelli oppure provenienti da famiglie tradizionalmente legate alla magia e alla capacità di curare. La presenza di queste figure è riscontrabile ancora oggi in alcune comunità rurali. La medicina popolare sopravvive all’affermazione della medicina ufficiale avvenuta all’inizio del Duecento e l’uso delle erbe medicinali continua per molti secoli.

Dai resoconti dei processi per stregoneria del ‘500 si evidenzia, nell’attività delle cosiddette streghe, la pratica della magia e della medicina.
In molti casi, quindi, la strega è una guaritrice condannata semplicemente perché opera fuori e contro l’autorità laica e religiosa; infatti esse venivano condannate per eresia e non per accertata pericolosità delle loro ricette.
In quei tempi curare le malattie che la medicina ufficiale non riusciva a sanare significava entrare nel campo del sovrannaturale e quindi peccare di eresia.
In realtà il saper conoscere, trasformare ed impiegare le erbe medicinali conferiva alle streghe un potere che sia la Chiesa sia lo Stato intendevano contrastare.
Le streghe conoscevano bene l’impiego terapeutico delle piante medicinali, infatti illustri botanici come il Mattioli e il Durante confermano le proprietà di determinate piante usate nelle loro preparazioni.

Spesso all’uso delle piante si accompagnava anche quello degli animali o di parti di essi. Le streghe guaritrici associavano sempre alla somministazione dei loro preparati a base di erbe la formulazione di riti magici mirati a scacciare il male insediatosi nella persona.
Oltre ad usare erbe tutt’ora utilizzate, ne adoperavano altre che, somministrate in dosi massicce, risultavano tossiche o allucinogene, cioè capaci di alterare la coscienza come l’Aconito, altamente tossico e capace di paralizzare le terminazioni nervose, la Belladonna o lo Stramonio riconosciuti come potenti allucinogeni.
 
Nel Medioevo le piante coltivate erano usate per la composizione di medicamenti semplici, cioè realizzati con una sola pianta o composti, prodotti da piante diverse combinate tra loro.
La tradizione continuò e venne incrementata nel Medioevo con l’istituzione dell’Hortus simplicium o Hortus medicus (detto anche viridarium nell’Alto Medioevo). L’hortus simplicium (sottinteso medicamentorum), il giardino dei medicamenti semplici, sorse presso i monasteri ed i conventi. Uno dei primi viridari fu fondato da Cassiodoro, già consigliere dell’imperatore Teodorico, che con la caduta dell’Impero Romano si ritirò dalla vita politica. Appassionato di medicina, scrisse le “Istitutiones divinarum et humanorum”, in cui raccomandava ai monaci di coltivare le piante medicinali e di studiare, trascrivendo e miniando, le fonti del passato, come Ippocrate, Dioscoride e Galeno.
Resta fondamentale il ruolo culturale e sanitario svolto dagli ordini monastici, che si occuparono dell’assistenza agli infermi per assolvere la missione caritatevole cui erano chiamati. Svolsero anche, avvalendosi delle fonti classiche, un’intensa attività di ricerca in campo farmaceutico, realizzando medicamenti di grande efficacia. I monaci produssero dei cataloghi ragionati di tutte le erbe coltivate ed utilizzate, chiamati Hortuli.

Gli hortuli erano raccolte di piante figurate in cui si descrivevano le caratteristiche e le virtù delle singole piante. In questo modo la conoscenza della medicina e dell’impiego delle piante officinali si diffuse rapidamente tra gli stessi ordini monastici. Accanto alle abbazie sorsero i primi ospizi ed ospedali per accogliere i pellegrini infermi fin quando nel 1200 il Papa Onorio III non proibì l’esercizio della medicina ai chierici secolari e nel 1231 Federico II di Svevia vietò ogni rapporto tra la professione dello speziale e quella del medico impedendo l’esercizio della professione medica senza autorizzazione.
L’unico centro culturale pubblico, abilitato a rilasciare il titolo di dottore fu la Scuola di Salerno. Nella scuola salernitana, la cui origine probabilmente si collega ad un centro monastico, confluirono gli elementi della tradizione classica influenzati dalla cultura araba.
 
 

La medicina tradizionale: le fonti

L’erbario è una raccolta di piante, che possono essere raffigurate (hortus pictus), secche (hortus siccus) oppure vive (hortus vivus), a scopo didattico e scientifico. Dall’antichità classica all’età premoderna gli erbari furono la migliore fonte di indicazioni e di conoscenze, riguardanti la botanica-medica, a disposizione degli erboristi e degli speziali. Si trattava di testi in cui alla descrizione della specie vegetale e delle sue proprietà faceva riscontro l’immagine della stessa.

L’erbario figurato più importante dell’antichità sembra essere quello della principessa Anicia, risalente al VI secolo d. C., seguito dal cosiddetto Pseudo-Apuleio. Nel corso del Medioevo essi furono molto rimaneggiati e contaminati da interventi successivi degli amanuensi. Restano, tuttavia, documenti di fondamentale importanza per la storia della medicina.

Esistono due famiglie di erbari: una di tipo realistico, dove la pianta è descritta come è nella realtà, una di tipo schematico in cui l’immagine si arricchisce di simboli utili per comprendere l’impiego.

Negli erbari del primo tipo le piante sono descritte nei particolari, con grande attenzione all’immagine (in bianco e nero o a colori) e alle virtù curative. E’ significativo, ad esempio, che accanto all’indice delle piante venisse aggiunto un indice delle varie infermità. I più importanti erbari figurati a stampa del Rinascimento furono quelli di Fuchs (1542) e di Mattioli (1565).
Il secondo tipo di erbario era destinato maggiormente ad un uso pratico personale, quindi più vicino alla tradizione popolare: la rappresentazione delle piante appare fantasiosa per l’associazione di simboli e rituali. Ne è un classico esempio la mandragora, rappresentata sempre legata ad un cane e con il raccoglitore che si tappa le orecchie per non sentire l’urlo della poveretta al momento dello strappo.
L’erbario secco è una raccolta di piante essiccate, stese ed attaccate su fogli di carta. La funzione è, da una parte quella di documentare la presenza delle specie in un dato territorio e, dall’altra, strumentale, in quanto permette uno studio comparato con altri campioni di altre aree.

L’erbario vivo invece si identifica con l’orto botanico o con raccolte di esemplari in esso contenute. I primi orti botanici, gestiti prima in ambiti religiosi e poi anche laici, furono destinati alla raccolta delle piante medicinali, dette medicamenti semplici (donde la denominazione di Giardini dei Semplici, sottinteso medicamenti). In seguito in questi orti vennero coltivate anche piante non medicinali a scopo sia didattico che scientifico. soprattutto quando la botanica diventò una scienza autonoma separata dalla medicina. Da quel momento gli orti botanici funsero anche da centri di sperimentazione e di acclimatazione di nuove specie esotiche provenienti dal Nuovo Mondo, come la patata ed il peperoncino.

Dalla medicina popolare alla medicina accademica:le fonti Il Tacuinum sanitatis è un’altra fonte medievale manoscritta, riguardante l’impiego delle piante officinali.
Il termine tacuinum deriva dalla parola araba taqwim che significa indicazione, tabella. Questo tipo di testo è frutto della traduzione latina di un’opera araba, espressa in forma sintetica (donde il valore di tabella). Vi sono raccolti concetti di medicina tradizionale rivisitati attraverso le pratiche comportamentali e i ritmi naturali, non disgiunti, talora, dallo studio delle influenze astrali. La pianta è raffigurata quasi sempre per intero nel suo habitat naturale e viene indicata sia la stagione migliore per la raccolta sia le differenti proprietà della pianta in base ai ritmi stagionali.
Il Tacuinum, oltre che indicare rimedi, suggerisce norme per mantenere la buona salute, curando in particolar modo l’alimentazione, l’igiene ed il comportamento, ovvero il giusto equilibrio tra sonno e veglia, tra moto e quiete, tra gioia ed ira.
Questi manoscritti indicano come ricavare benefici dalle piante e come evitare i danni che esse possono provocare. In sintesi si possono definire come manuali pratici, alla portata di tutti, soprattutto di coloro che sono interessati alle conclusioni della scienza e non alle prove, impreziositi spesso da colorite e vivaci figure di piante.

I ricettari contengono più o meno le stesse notizie inserite negli erbari, ma organizzate in modo diverso. Infatti mirano a mettere in risalto lo scopo per il quale si utilizza una pianta o, meglio ancora, una preparazione erboristica composta. Di ogni ricetta vengono enumerati gli ingredienti, i metodi di preparazione, le modalità di somministrazione e le quantità.
Diverso dagli erbari, dai taccuini e dai ricettari, un ulteriore strumento-documento stampato, diffuso fino al XIX secolo è il cosiddetto prontuario medico.
Esso differisce dai precedenti poiché affronta al suo interno discussioni di carattere filosofico sul perché e sul modo di adoperare determinate piante ed enumera una serie di casi trattati con le relative erbe. La diversa struttura è dovuta al fatto che il prontuario era destinato ai medici, mentre gli altri tipi di testi erano rivolti anche allo speziale-farmacista e all’erborista.
 
 

Dall'antica farmacopea all'industria farmaceutica

L’uomo, dal momento in cui comprese l’utilità delle piante per la cura della salute, cominciò a raccoglierle e ad usarle. Quando ancora viveva in simbiosi con la natura, custodiva personalmente il patrimonio di conoscenze sulle erbe medicinali.
Con l’organizzarsi delle comunità tribali, nacquero i raccoglitori di piante che, essendo diventati buoni conoscitori del settore, erano in grado di stabilire il momento giusto per la raccolta e le regole riguardo l’impiego. Cambiando le condizioni di vita, le antiche conoscenze vennero integrate da nuovi precetti che migliorarono i metodi di preparazione dei rimedi naturali.

Presso ogni popolo, poi, tali conoscenze andarono a costituire il fondamento della medicina tradizionale e, nelle civiltà più evolute, furono codificate in testi scritti chiamati erbari.
Gli erbari, quindi, sono testi che raccolgono tutte le notizie sulle erbe medicinali dal punto di vista botanico e terapeutico. Tra i più autorevoli possiamo ricordare quello enciclopedico di Dioscoride (I secolo d.C.), che sintetizza un po’ tutte le pratiche fitoterapiche dei Romani, dei Greci, degli Africani, degli Egizi e di altri popoli.
Ma già a due secoli prima, nel mondo occidentale, risale lo studio delle piante, mirato alla creazione di una vera e propria scienza medica, attraverso la comprensione del meccanismo di immunità ai veleni. La loro diffusione e il loro uso criminale era tale che Mitridate, re del Ponto, volle necessariamente trovare un antidoto efficace.

Ne incaricò il suo medico Crateva, che da un lato approfondì la conoscenza della tossicità delle sostanze e dall’altro sperimentò l’efficacia degli antidoti, servendosi degli schiavi.
Era il primo passo, di fatto, verso la preparazione di prodotti medicinali in funzione di antidoti. Il primo fu proprio il Mitridato, così chiamato in onore di Mitridate. Il più famoso, però, è la Theriaca, un composto messo a punto più tardi da Andromaco, medico di Nerone, e formato da decine di sostanze, prevalentemente d’origine vegetale, ma anche animale. Infatti, conteneva anche carne di vipera, il che spiega il suo utilizzo come antidoto contro il morso di serpenti. Per molti secoli, poi, venne adoperato anche come farmaco per la cura di moltissime malattie come la peste, il mal di testa cronico ed il mal di fegato.

La tecnica farmaceutica estrattiva

Agli inizi dell ‘800 l’uomo riuscì a individuare e poi isolare i principi attivi responsabili dell’azione terapeutica svolta dalle piante medicinali.
La prima sostanza naturale isolata allo stato puro fu la morfina, nel 1805. Si realizzava, così, il sogno degli antichi alchimisti, protesi a cercare il quid, cioè l’ignota sostanza che valorizzava le piante sul piano farmacologico.

Il passaggio ad una vera e propria industria chimica farmaceutica estrattiva fu breve e altre sostanze, citiamo per esempio la caffeina e la salicina, alla base della notissima aspirina, andarono ad arricchire la lista delle sostanze naturali vegetali oggi conosciute.
Nel 1853, inoltre, si scoprì la somministrazione dei farmaci per via intramuscolare e questa pratica aprì la strada all’utilizzo di una preparazione solubile concepita in modo molto diverso dalla classica tisana di erbe.

Tuttavia le piante medicinali continuarono ad essere usate, sulla scorta dei precetti derivanti da quel grande contenitore culturale che è l’esperienza popolare.
Il preparato medicinale di origine vegetale arreca all’organismo un complesso di sostanze chiamato fitocomplesso: alcune sono le vere responsabili dell’azione farmacologica, altre sono sinergiche in quanto potenziano l’assorbimento e l’attività delle prime, altre ancora evitano l’insorgenza di effetti collaterali. Infatti un farmaco quando viene somministrato produce due effetti uno benefico l’altro nocivo; l’effetto benefico deve superare quello nocivo ma questo non sempre avviene poiché l’effetto del farmaco dipende dal singolo individuo.



Le erbe medicinali e la tradizione popolare


Una antica leggenda narra che Esculapio, mitologico dio della medicina, avesse imparato l’arte del curare dopo aver visto che una pecora, ormai ridotta in fin di vita, si sforzò di mangiare un' erba selvatica, e dopo averlo fatto riprese forza e vigore.

L’uomo ha iniziato a curare i propri malanni servendosi delle erbe spontanee probabilmente osservando gli animali che lo facevano istintivamente proprio come la pecora di Esculapio.
L’uso dei rimedi naturali vegetali è poi proseguito per millenni fino a trasformarsi in scienza delle erbe medicinali o fitoterapia.
Attualmente l’uomo ricorre ancora alle erbe nonostante lo sviluppo della chimica e della scienza farmaceutica sembrano aver soppiantato questa antica arte.

Il ricorso a farmaci di facile assunzione e rapida efficacia ha solo apparentemente fatto cadere in disuso i cosidetti “rimedi della nonna” lenti ma efficaci, il patrimonio di conoscenze in materia di piante medicinali è rimasto sempre vivo nella tradizione popolare, tramandato oralmente di generazione in generazione.Le erbe medicinali coltivate nel Medioevo, ad esempio la salvia, il rosmarino, la cicoria, la malva etc…, malgrado tutti i mutamenti storici e tecnologici, vengono utilizzate ancora oggi.

Attualmente l’uso tradizionale delle erbe è relegato alla memoria dei più vecchi, depositari di un antica sapienza che va pian piano estinguendosi. Tuttavia è pur vero che la maggior parte delle loro conoscenze sono state trascritte e codificate.
D’altronde ogni singolo territorio detiene uno specifico patrimonio di conoscenze relativo alle piante reperibili nella propria zona, sul loro impiego e sulle modalità di raccolta.
I procedimenti secondo i quali le piante venivano trasformate per poi essere utilizzate nella preparazione dei rimedi medicinali erano e restano fondamentali per l’efficacia degli stessi.
Le stesse tecniche di preparazione e di applicazione delle tisane, dei decotti e delle pomate, erano molto semplici ma efficaci e sono in sostanza le stesse che si utilizzano ancora oggi.

La medicina popolare sopravvive all’avvento della medicina ufficiale affermatasi a partire dall’inizio del 1200 (quando nacquero le prime Università), infatti i ceti più bassi, legati all’economia agricola continuarono a praticare l’autoterapia attraverso l’uso delle erbe officinali o grazie all’intermediazione di guaritori.

Nella medicina popolare la componente magica operava l’allontanamento delle forze maligne, considerate come le cause della malattie, mentre alle proprietà delle piante era affidato il compito di curare i sintomi. In certi casi anche la medicina ufficiale ricorreva ai rimedi erboristici popolari prima e dopo l’avvento della chimica.