Cerca nel blog

sabato 13 agosto 2011

Gli Irpini

http://www.montellanet.com/artisti/carmine_palatucci/lavoro_02.jpg http://c1.ac-images.myspacecdn.com/images01/30/m_3e7d4a677e53816194c43ac037022630.jpg "Viene poi il popolo degli Hirpini, anch'esso di ceppo Sannita. Ricevettero questo nome dal lupo che fece da guida alla loro migrazione: i Sanniti chiamano hirpos il lupo. Confinano con i lucani dell'entroterra". da Festo "Gli Hirpini sono così denominati dal nome del lupo, che i Sanniti chiamano (h)irpus; avendo infatti seguito quello come guida, occuparono il territorio". tratto da Hirpi di Domenico Cambria Prima che i Lucani lasciassero le prische sedi, già gli Irpini avevano dovuto occupare le valli del Calore e del Sabato, e quella superiore dell'Ofanto. Gli Irpini, distaccatisi dai Sanniti, si stabilirono nella nostra valle intorno al 500 a.C. Gli Irpini avevano preso nome dal lupo, che in sannitico si chiamava irpus, e che era il loro animale sacro. Una leggenda dice che il Popolo Irpino avesse preso quel nome, per aver avuto a guida dell'occupazione del nuovo territorio un lupo. Più credibile è l'opinione, che armati essi movessero dietro l'insegna di quell'animale, raffigurato anche in parecchi tipi di monete. Potrebbe però anche darsi che ai nuovi incomodi vicini quel nome fosse dato dagli abitatori della Campania, della Conia e dell'Apulia, per l'abitudine, che quei guerrieri agresti e rudi avevano, di fare scorrerie nelle pianure, e nei luoghi presso al mare , piombando quivi all'improvviso dai monti, e rintanandosi poi, a guisa di lupi, con la loro preda. Essi stessi poi, per attenuare quella fama e nobilitare l'origine del nome, avrebbero potuto inventare e diffondere la leggenda del lupo-guida. Nel territorio di Montella è stata rinvenuta una moneta di bronzo che risale almeno al 300 a.C. Da essa si può dedurre che nella nostra valle si erano stabilite quattro tribù Irpine, unite in lega difensiva tra loro e con altre sette tribù Irpine degli Abellinates. La moneta nel diritto, reca le figure di due divinità protettrici, l'una maschile e l'altra femminile, con una scritta, che è stata interpretata: A Trefo e ad Herentate, le quattro tribù da loro discese. Sul rovescio, tre alberi indicano che le terre di queste tribù erano ricche di boschi; un cinghiale femmina, che allatta sette cinghialetti, simboleggia le sette tribù degli Abellinates, il cui nome deriva da aper, cinghiale. Con l'aiuto della toponomastica si può formulare l'ipotesi che le quattro tribù Irpine della valle siano state quelle degli Alfellàni, degli Atràni o Satràni, dei Larinàtes o Lavrìnàtes, dei Deculàni.

Dalla Dea Mefite alle Janare: la segreta magia dell'Irpinia pagana fino a Benevento

MEFITE https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi0yvyz9f7ze1QzqT-EgCje7JPCPxsu3vasBKHXaW3hI2xwle4iHW8yu29m7jjSk-aPeYaxXIcauCbxhcSn_W2sMV6BH4zoh6QbT8VY9h3Qe_9G6KFEl9J2rasW8F25VhForUophjI5rtg/s227/XOANON_LIGNEO_DI_Mefite%5B1%5D.jpg una Dea italica

Strada "Ofantina bis", cinquanta chilometri da Avellino, raggiungibile dall'autostrada Napoli-Bari e , passando da Contursi e dalla zona del Tufaro, ricca di terme, anche dall'autostrada Salerno-Reggio Calabria. Qui è tutto verde, tranne una macchia grigiastra, in continuo movimento, secondo la volontà di una Dea ancestrale.
La terra bolle, esala miasmi mefitici, mortali, segnalati da un cartello che diffida dall'avvicinarsi alle pozze ribollenti, mortali, del lago d'Asanto. Ecco, questo è il luogo della dea Mefite, bella e terribile allo stesso tempo, espressione della vita e della morte. Da sempre immaginata bifronte, profondamente donna, gelosa custode del retaggio della Grande Madre Mediterranea. Essa è sia Afrodite che Hera, protettrice della bellezza, dispensatrice di fecondità, ma anche Persefone, signora della morte. La regina del cielo dei popoli sanniti, ha il suo regno in questo territorio accarezzato dal sole e battuto dal vento, dove da millenni sono custoditi i suoi misteri.
I primi segni di insediamento in questo luogo risalgono al VII secolo prima dell'Era Volgare. L'origine della dea sembra appartenere al mondo del popolo osco, prima che questo fosse inglobato dai Sanniti, in seguito a un processo di fusione favorito dalla similitudine tra le due genti. Lo scenario è l'Irpinia, terra antica, ma anche di transito e di scambio. Per questo la misteriosa divinità si diffonderà, con discrezione, sull'intero territorio nazionale. Anche a Roma, che nell'ultima fase dell'età repubblicana vanterà un tempio sul luogo più tenebroso della città, l'Esquilino, dove il poeta Orazio ambienterà il personaggio della strega Canidia.
Mefite era una divinità maligna e stregonesca, dimorante nelle vicinanze di luoghi fetidi, per la presenza di acqua impregnata di zolfo? Gli oggetti di culto, custoditi nel museo di Potenza e le testimonianze sparse non solo in Irpinia, lasciano intendere che la magia era solo un aspetto di questa divinità per molti versi bifronte. Mefite era allo stesso momento dolcezza e crudeltà. Proteggeva le donne ma colpiva chi le contrariava. Una dea mediterranea che probabilmente incarna l'apetto più magico e imperscrutabile della Grande Madre Mediterranea.Talune caratteristiche di questa dea, fiorita tra le montagne del sud della Penisola, proprio dove si era fatta valere la resistenza contro l'avanzata ellenica dalla Magna Grecia, riportano ad altre figure legate al mito e alle divinità femminili di origine greca. Mefite sembra essere stata, fin dall'alba della civiltà osca, il modello della femminilità. Lei che dimorava davanti alle bollenti pozze di acqua sulfurea, sovrintendeva anche al fascino delle donne. E' stata lei a suggerire il fango come elemento che regala bellezza ed è toccasana per una pelle morbida? A vantare il privilegio di avere ispirato il piacere di andare alle terme per fare del proprio corpo una espressione di bellezza e dolcezza femminile? E poi c'è l'altro risvolto, quello della morte che l'accomuna ad altre divinità, giunte dall'Oriente nella notte dei tempi. I Siculi, per esempio, prestavano giuramento davanti al laghetto dedicato ai Palici, misteriose divinità onorate ai piedi dell'Etna. Quel lago rendeva ciechi gli spergiuri. Il binomio vita-morte, affidato all'acqua, intesa come manifestazione divina, rappresenta una costante tra i popoli italici più ancestrali. Nelle aree sannitiche questa divinità, rappresentata nei pochi frammenti di terracotta con ampi mantelli, doveva essere venerata sulle rive dei laghi e davanti alle sorgenti dei fiumi. Collegata all'acqua, rappresentava nell'immaginario religioso di quella gente la potenza divina preposta ai campi coltivati, alla loro prosperità, ma anche a quella degli armenti e delle famiglie. Era, insomma, la dea della fecondità. Per queste caratteristiche, le dovevano essere attribuiti poteri connessi alla capacità di favorire la rigenerazione. http://mw2.google.com/mw-panoramio/photos/medium/12632394.jpg

Le indagini archeologiche hanno permesso di individuare la stirpe votiva del santuario, databile intorno al V secolo prima dell'Era Volgare. Sono state rinvenute statute di terracotta e di legno, monete, oggetti d'oro, una collana di ambra con graffiti di volti umani. Particolarmente degno di attenzione è un frammento di terracotta che reca la dedica a Mefite Aravina. I reperti sono custoditi nel Museo Irpino, in corso Europa, ad Avellino. Questa struttura museale merita da sola un viaggio in Irpinia. Vanta, infatti, una ricca pinacoteca e un'interessante documentazione dello sviluppo dell'Irpinia, regione che può essere considerata un libro aperto sul passato che non è mai stato chiuso. Mefite può dunque essere letta nella relazione dell'uomo con le divinità in questo percorso sulla via dello sviluppo culturale, fortemente segnato dalla componente magica, quelle dei riti, degli amuleti e di altre espressioni analoghe che hanno lasciato un segno profondo nella cultura non solo locale ma dell'intero Mezzogiorno. La sua funzione è ancora più importante perché documenta la relazione tra l'uomo e il "divino" e le leggi che la società si è data per regolare i rapporti interpersonali in funzione del rispetto della volontà naturale, e quindi divina. In altre parole, Mefite oggi non deve essere considerata solo come una divinità autoctona, diversa, per molti aspetti, dalle dee greche e romane, ma come l'anello di congiunzione tra la religione, la magia e il diritto: la natura e la cultura. L'acqua, elemento sacrale fin dalla notte dei tempi, è il cordone che lega insieme questi anelli: https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjMnABosA5Qlp9bNWOPmhWIGAfPJPwmXW-9KX0wnxD4kGdjWxsY2dr_YWuoUj2xMKFfu7RHVCb5JVZqfncaRdpq3oxV5B4cwaEaeeDLHG2TcAuCa5Nm3IgvUL3IiBVDnjuNpphxhp2dXJ5-/s320/acqua.jpg
Con l'avvento dei Romani il suo culto sembra trasformarsi, forse per adeguarsi alla mutata realtà geopolitica. Non è solo la dea delle fonti. La religiosità la colloca anche davanti alle pozze ribollenti delle acque solforose e delle paludi. Il ruolo continua a essere quello di una dea benefica che favorisce la riproduzione ma alle sue prerogative tradizionali se ne affiancano altre. Acquista nuove funzioni salvifiche. E' lei che protegge gli uomini dai rischi dell'acqua malsana e aiuta le donne a essere più belle facendo ricorso all'acqua e ai fanghi di questa impregnata. Romanizzata, perde la grande autorevolezza avuta sulla gente sannita per essere una nuova dea protettrice dei romani con funzioni scaramantiche contro il male. Questo apparteneva allo spirito religioso dei Romani che attribuivano all'acqua poteri magici e teologici. Così il teologo della nascente religione romana, re Numa Pompilio, si recava presso una fonte per incontrare la ninfa Egeria. Questa gli trasmetteva la volontà divina nel definire i principi che dovevano regolare la nascente società dei Romani.
Il collegamento tra acqua, femminilità, magia, fecondità e regole di vita è, dunque, testimoniato anche a Roma. Questo, insieme alla consuetudine dei Romani di fare proprie le divinità di popoli stranieri, giustifica il sacello della dea Mefite sull'Esquilino.
Torniamo in Irpinia, nella verde terra della dea della magia dell'acqua e della vita. La sua esistenza non è testimoniata solo dai reperti del museo di Potenza ma anche dall'essenza di un territorio e della sua società dove il tempo sembra essersi fermato. Lo scenario è quello di un fondale di monti dalla cima innevata che degradano in colline sempre più dolci e verdeggianti sulle quali sono incastonati antichi borghi. <<Mefite rappresenta ancora lo spirito del territorio con i suoi riti, soprattutto quelli della bellezza e, perché no? Anche dell'arte - racconta Beppe D'Angelo, pittore e scultore del Tufaro, nella zona di Contursi, ricca di sorgenti termali, oggi utilizzate per finalità curative, di benessere e bellezza - Qui tutto parla della dea Mefite, con due volti, quello dolce della madre buona e l'altro cattivo di chi punisce>>. E mostra quadri, bronzetti, vasi e anforette da lui realizzati ispirandosi alla dea lontana nel tempo ma sempre presente in quelle acque, talvolta bollenti e cariche di miasmi sulfurei altre volte calde e salutari. Apparentemente diverse in realtà sempre uguali perché incarnano lo spirito di Mefite, dea dai due magici volti, capace di dare la vita ma anche di riprendersela.
Per altri approfondimenti in merito al culto, simbologia e archeologia, si consiglia di volgere l'attenzione a questo straordinario sito:
http://xoomer.virgilio.it/davmonac/sanniti/mefite.html